La diffusione delle pievi ecclesiastiche iniziò nel VI secolo, con la scomparsa dell'organizzazione statale romana. La pieve, oltre ad essere il nucleo dell'organizzazione ecclesiastica delle campagne, ereditò le funzioni civili e amministrative del municipio romano, assumendo il ruolo di "centro" del territorio di competenza. Il pievano infatti, oltre ad essere il governatore delle anime, assolveva funzioni civili e amministrative: teneva i registri delle nascite, custodiva i testamenti e gli atti di compravendita dei terreni. La pieve, quindi, era sia centro religioso che entità territoriale (Plebs cum capellis et decimis, dove la pieve fungeva da chiesa matrice e le cappelle erano i centri minori religiosi da questa dipendenti). Il Crocifisso posto sopra l'altare della Pieve di Santa Maria in Viguzzolo è il segno eminente della teologia cattolica della Messa come perpetuazione del sacrificio del Calvario. Questa riflessione teologica, sviluppata nel medioevo dalla Scolastica e Da San Tommaso d'Aquino, viene ripresa con forza dal Concilio di Trento, per arginare le posizioni protestanti che volevano relegare il valore dell'eucaristia alla sola dimensione simbolica.
In parallelo l'arte sacra e la devozione popolare trasformarono sempre più l'altare in una ripresentazione plastica del Calvario. A partire dal Cinquecento, la riscoperta della cultura e dell'arte classica greco romana riportarono nella scultura, anche sacra, l'attenzione per quel realismo anatomico che i secoli precedenti avevano spesso obliato. Questo tratto artistico si fuse pienamente col desiderio devozionale di rappresentare con estremo realismo la drammaticità della Passione di Cristo, autentico contenuto dell'eucaristia. Nacquero così i grandi crocifissi processionali e i monumentali crocifissi da altare, spesso accompagnati dalla teatralità drammatica di altre figure: San Giovanni, l'Addolorata, la Maddalena, le pie donne.

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